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22 Nov 2011

Geofilosofia di Deleuze e Guattari

Un'interpretazione che allontana la geofilosofia di Gilles Deleuze e Félix Guattari sia dalla logica rappresentativa che da quella storicista.

Guattari e Deleuze

«Perché la filosofia nasce in Grecia e in quel determinato momento?»1 Diversi filosofi hanno cercato una risposta a questa domanda, ognuno esponendo le proprie ragioni e, soprattutto, ognuno presupponendo una propria idea di cosa sia la filosofia e di cosa significhi pensare. Ecco allora che la più contingente delle domande, quella che chiede le ragioni di un determinato dove _e quando_, chiama a sé la più essenziale, quella che s’interroga sul che cosa, sulla definizione. Non è dunque un caso che l’opera di Deleuze e Guattari intitolata Che cos’è la filosofia? s’impegni ad un certo punto a rispondere alla domanda del perché proprio in Grecia e in quel momento, suggerendo che l’essenza della filosofia implichi la sua contingenza.

Per i due filosofi c’è un paradosso da spiegare, quello secondo cui la Grecia sia stata necessaria alla filosofia, ma la filosofia non sia necessariamente greca.2 Un paradosso che può essere sciolto solo mutando l’abito mentale con cui si guarda la Grecia e si pensa la filosofia. Delle due allora l’una: o la filosofia trova in Grecia la sua origine, dimostrandosi un prodotto esclusivo del mondo greco, oppure essa trova in quella terra l’occasione per esprimersi, dimostrandosi il frutto di un buon incontro, quello tra una terra fertile e un pensiero fecondo. Deleuze e Guattari sostengono la seconda ipotesi. La Grecia, a loro avviso, con le sue peculiarità culturali, storiche e geografiche non è da considerarsi l’origine della filosofia, quanto il «clima», l’«ambiente», l’«atmosfera»3 favorevoli al suo esordio; quello che per i biologi è un habitat: un insieme di condizioni speciali affinché qualcosa possa nascere, attecchire e svilupparsi. È fondamentale rimarcare la differenza tra origine ed incontro almeno per due ragioni. In primo luogo, pensare il rapporto tra la Grecia e la filosofia come origine significa attribuire alla Grecia l’esclusiva, sostenere cioè che la filosofia non sarebbe potuta nascere altrove.

Diversamente, ritenere che la Grecia sia stata occasione per la filosofia significa sostenere che la patria della filosofia non esista, o meglio, che essa sia del tutto contingente: si trova là dove sussistono le buone condizioni. Come un albero, che non ha una patria ideale, ma solo un clima ideale e nasce e prospera là dove può. In secondo luogo, la tesi dell’incontro implica che ogni gesto filosofico conservi geneticamente delle particolarità proprie all’ambiente in cui si sviluppa. Caratteri geografici, culturali e storici – «nazionali»4 come già riscontrava a suo tempo Nietzsche – che fanno di ogni filosofia un evento singolare, più contingente che universale.

Ed è proprio per affermare le ragioni dell’incontro, per includere nella definizione di filosofia la componente della terra, che Deleuze e Guattari introducono il termine “geofilosofia”. L’intento è di sottolineare, partendo dal lessico, il legame tra pensiero e terra che ogni filosofia implica. Eppure, nonostante questo sforzo terminologico, non sempre il significato di geofilosofia viene colto interamente. Spesso viene solamente messo in relazione a quello di geografia, come se le affinità tra i due vocaboli fossero più importanti delle discrepanze; oppure contrapposto a quello di storiografia, come se la geofilosofia fosse più antitetica allo storicismo, che al di là di quest’ultimo. Tali interpretazioni rischiano di appiattire il senso e la portata innovatrice della parola.

A titolo esemplificativo, riteniamo utile riportare una domanda che Didier Eribon pose a Gilles Deleuze durante una discussione riguardo Millepiani, pubblicata su Libération il 23 ottobre 1980 e successivamente inserita nella raccolta Pourpaler. Essa, sebbene non chiami direttamente in causa il termine “geofilosofia”, ben riassume alcuni dei fraintendimenti da cui mettevamo in guardia poco fa:

Sebbene [lei e Guattari] utilizziate il lavoro di alcuni storici, soprattutto quello di Braudel, (di cui per l'appunto è noto l'interesse per il paesaggio), il minimo che si possa dire è che non riconoscete alla storia un ruolo determinante. Fate più volentieri geografia, privilegiate lo spazio e dichiarate che occorre tracciare una "cartografia" dei divenire.5

Forse questa estrema sintesi è letteralmente «il minimo che si possa dire» a proposito della “geografia dei saperi” auspicata da Deleuze e Guattari. In effetti la situazione è più complessa, e richiede molto più del tempo concesso a una domanda per spiegare come la geofilosofia sia meno geografica o anti-storica di quel che sembri. Leggendo rapidamente il capitolo quarto di Che cos’è la filosofia? si è portati a pensare che Deleuze e Guattari prendano spunto dalla geografia per inaugurare una nuova idea di filosofia, meno storica e più geografica6 quando a ben guardare progettano altro, qualcosa di più ampio. In quelle pagine inaugurano un nuovo modo di concepire il pensiero, che porta con sé anche una differente idea di filosofia, di storia e di geografia. Ciò che si profila è un nuovo orizzonte. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire il loro intero percorso. Innanzitutto sono due le cose da chiarire: perché la geofilosofia differirebbe dalla geografia e perché non sarebbe contro,7 bensì oltre lo storicismo. Iniziamo dalla seconda, così da poter poi spiegare meglio la prima.

Cercare l’origine di qualcosa significa ripercorrerne la storia fino al presunto punto di partenza. Una volta trovato l’inizio, si riordineranno cronologicamente tutti i fatti a venire nell’ottica dello sviluppo, dell’evoluzione e della necessità; in una parola: dello storicismo. Cercare l’origine della filosofia significa quindi, per contraccolpo, «disvelarne il destino»,8 stabilirne la storia, facendo della “ragione del tempo” la sola autorevole. In questo modo però si rischia di far coincidere necessariamente la filosofia con la sua storia.9 Deleuze e Guattari rivendicano le ragioni dello spazio e prendono le distanze dalla storicizzazione del pensiero, che a loro modo di vedere domina da almeno due secoli la cultura europea, da Hegel fino ad Heidegger. Tuttavia ciò non significa che vogliano destituire quelle del tempo, anche perché è evidente che il legame tra la nascita della filosofia e la Grecia è un rapporto realizzatosi in un «determinato momento».10

Il bersaglio della loro critica è piuttosto lo schema dell’origine, a cui sostituiscono quello dell’incontro. Infatti scrivono: «Esiste una ragione della filosofia, ma è una ragione sintetica e contingente – un incontro, una congiunzione; di per sé non insufficiente, ma in sé contingente».11 Essi vogliono dire che la comparsa della filosofia in Grecia è simile a quella di un arcobaleno: sempre determinata in un preciso dove e quando, ma senza alcun obbligo di necessità verso quel dove e quel quando. È il passaggio dalla logica dell’origine a quella dell’incontro, ciò che consente alla geofilosofia di andare oltre lo storicismo, considerando in un colpo solo sia la dimensione storico-temporale che quella geografico-spaziale, facendo di ogni necessità una contingenza.12

La filosofia si affranca così dalla storia della filosofia, quel concatenamento cronologico e presunto necessario di eventi del pensiero, concependosi come un divenire di contingenze, d’incontri e d’occasioni. In conclusione, per Deleuze e Guattari, «se la filosofia fa la sua comparsa in Grecia è in funzione di una contingenza più che di una necessità, di un ambiente o di un clima più che di un’origine, di un divenire più che di una storia, di una geografia più che di una storiografia, è più per grazia che per natura».13 Se la filosofia fa la sua comparsa in Grecia è dunque in funzione «di una geografia più che di una storiografia» – scrivono i due autori – ma di quale geografia? Cosa intendono Deleuze e Guattari per geografia? Veniamo così alla prima questione, quella che avevamo momentaneamente lasciato in sospeso e che chiedeva di distinguere tra geofilosofia e geografia. Nell’interpretare il capitolo quarto di Che cos’è la filosofia?14 non si deve semplificare eccessivamente e considerare la spazialità introdotta dalla geofilosofia come identica a quella pensata dalla geografia. I concetti impiegati da quest’ultima appartengono infatti a quella stessa dimensione storicistica che la geofilosofia vorrebbe superare.

È erroneo concludere che la geografia non sia condizionata dall’inclinazione storicistica del pensiero occidentale, solo perché ha più a che fare con lo spazio che col tempo. Anzi, è proprio indagando questa presunta estraneità che si può ritrovare la sostanziale coerenza tra geografia e storicismo: due facce della stessa medaglia. La geografia ha sempre pensato lo spazio come elemento funzionale alla storia, espropriandolo della sua fecondità, della sua «potenza»;15 uno spazio trascendente e rappresentativo, esterno e complementare alla storia. D’altra parte, la storia ha sempre considerato la geografia come elemento non determinante; come se, dopotutto, la terra francese, americana o russa non avessero avuto nulla a che fare con le rispettive rivoluzioni, come se i processi storici si giocassero su un piano extra-terreno, o ultra-terreno.

Deleuze e Guattari s’appellano invece ad un’altra geografia, che «non si limiti a fornire una materia e dei luoghi variabili alla storia»,16 che non concepisca più lo spazio come sfondo, come una mera scacchiera che assiste alle vicende storiche senza determinarle, ma come componente attiva della storia. Quindi ciò che rende quantomeno problematico l’accostamento della geofilosofia alla geografia è la tendenza di quest’ultima a pensare lo spazio come sfondo del tempo, come scenario su cui la storia è in azione. Detto questo, si deve constatare come Deleuze e Guattari inseriscano a più riprese riferimenti alla geografia nel loro discorso. Bisogna allora spiegare questa insistenza, per dare così ulteriore credibilità a ciò che stiamo sostenendo in queste righe.

Esiste una «coscienza della terra»17 (così la chiama Gilles Deleuze in Cause e ragioni delle isole deserte) che la geografia da sempre coltiva, segretamente, all’ombra delle scienze e dello storicismo, e che la mette in rapporto con una terra per così dire primitiva, pregna di geografia, ma non ancora geografica. È questa sorta d’intuizione del geografo che Deleuze e Guattari vogliono far riemergere e portare a nuova maturazione. La geografia ha sicuramente qualcosa da donare alla geofilosofia, a patto che si spogli della sudditanza storica e dell’attitudine rappresentativo-oggettivante. Elemento, quest’ultimo, riscontrabile anche a livello etimologico. Se nel termine “geografia” la radice geo- designa la terra come oggetto della scrittura, in “geofilosofia” essa rimanda, come scrivono gli stessi Deleuze e Guattari, alla terra in quanto, per dirla con Husserl «intuizione originaria».18

I due filosofi fanno riferimento al manoscritto di Husserl intitolato Rovesciamento della dottrina copernicana, in cui si sostiene che la Terra ricopra ancora un ruolo privilegiato per la nostra esperienza. Husserl non vuole essere anacronisticamente tolemaico, ma ribadire che la Terra non è ugualmente importante per le scienze e per la percezione umana, soprattutto per quanto riguarda l’esperienza del moto. Se per le prime è solo uno tra i vari corpi celesti, per la seconda essa non è un _oggetto o _un corpo qualsiasi, ma l’intuizione originaria alla base di ogni esperienza, il «suolo» imprescindibile a partire dal quale si percepisce il movimento. Allo stesso modo, per Deleuze e Guattari, la terra è il piano che ogni pensiero presuppone. Se Husserl conclude che «è sulla Terra o a Terra, a partire da lei o verso di lei che ha luogo il movimento»,19 i due filosofi francesi fanno eco sostenendo che è sulla terra o a terra, a partire da lei o verso di lei che ha luogo il pensiero.

«Pensare – scrivono i due autori – non è un filo teso tra un soggetto e un oggetto, né una rivoluzione dell’uno intorno all’altro, ma qualcosa che si realizza piuttosto nel rapporto tra il territorio e la terra».20 In altre parole, il pensiero non è la relazione tra un soggetto e un oggetto o la contemplazione del secondo da parte del primo, tantomeno la rappresentazione di qualcosa da parte di qualcuno, ma il movimento di territorializzazione e deterritorializzazione della terra. «Pensare – continuano – consiste nel tendere un piano d’immanenza capace di assorbire (o piuttosto “adsorbire”) la terra».21 Per Deleuze e Guattari il pensiero non rappresenta la terra, ma come direbbe Heidegger22 la abita, organizzandola in territori e terra reciprocamente definiti. Il termine geofilosofia vuole esprimere proprio questa relazione d’immanenza tra terra e pensiero, accostando le due parole in modo paritario, ossia connettendole senza gerarchia.

La geofilosofia non è una “filosofia della terra” o, semplicemente, una “geografia filosofica”, ma un pensiero-terra (o terra-pensiero). Non c’è oggetto, né soggetto; non c’è una Terra da cui ci si deve astrarre, né un geografo che la deve studiare e rappresentare. C’è solo una relazione di fondo, selvaggia, secondo cui la terra si fa pensiero e il pensiero terra. Se la geofilosofia invoca (o evoca) la geografia non è certo come strumento, metodo o modello per la ricerca filosofica (o perché sia preferibile alla storia), ma per fare tesoro della contingenza e della spazialità, intuizioni tipicamente geografiche, che ben colgono quel rapporto pensiero-terra che secoli di logica rappresentativa e storicistica hanno sepolto. Oltre che post-storicistica, la geofilosofia si dimostra quindi anche post-rappresentativa, nella misura in cui abbandona lo spazio rappresentativo pensato dalle scienze e dalle arti – lo spazio di Copernico, Mercatore e Vasari, in cui ogni punto è indifferente, omogeneo ed equipollente. La geofilosofia ricostituisce invece uno spazio intensivo, in cui ogni punto è singolare, cioè detiene una propria potenza e contingenza. È solo grazie a questa mutazione che la geofilosofia può recuperare la «potenza di un ambiente»23 e strappare la storiografia «al culto della necessità e delle origini».24 È solo così che la geofilosofia può ripensare contemporaneamente la geografia, la storia e la filosofia e, in particolare, la storia della filosofia.

Veniamo così alla domanda dell’inizio: perché la filosofia nasce in Grecia? Oppure possiamo anche chiederci, come fanno Deleuze e Guattari riprendendo le riflessioni di Nietzsche, «perché solo la Francia, la Germania e l’Inghilterra furono capaci di produrre filosofia nel mondo capitalista? Perché non la Spagna o l’Italia?».25 Perché non sono solo i tempi a dover essere propizi, ma anche gli spazi. Forse Kairos ci ha sempre celato la sua componente spaziale. Ogni filosofia, ma più estensivamente ogni pensiero, porta con sé un dove-quando come elemento costitutivo. Ecceità genetica che lo caratterizza e singolarizza, che gli attribuisce lo statuto dell’evento. La geofilosofia testimonia una nuova consapevolezza spazio-temporale, impegnandosi a tracciare quella «cartografia dei divenire» ancora troppo poco studiata.


1 Gilles Deleuze, Félix Guattari, Che cos’è la filosofia?, cit., p. 88.

2 Cfr. Ibidem, p. 86 « È inutile cercare, come Hegel o Heidegger, una ragione analitica e necessaria che unisca la filosofia alla Grecia.»

3 Ibidem, p. 88.

4 Ibidem, p. 96.

5 Gilles Deleuze, Pourpaler, cit. p. 44.

6 Questa tesi è sostenuta anche da Claire Parnet. Cfr. Conversazioni, cit. p. 28: « quel che conta è il divenire-presente: la geografia e non la storia, la metà e non l’inizio e la fine, l’erba che sta nel mezzo e che cresce nel mezzo e non gli alberi…», corsivo mio.

7 Cfr. Claire Parnet in Conversazioni, cit. p. 40: «Atti di pensiero senza immagine contro l’immagine del pensiero; il rizoma, o l’erba contro gli alberi; la macchina da guerra contro l’apparato statale, la geografia contro la storia; la linea contro il punto, ecc.», corsivo mio.

8 Che cos’è la filosofia?, cit, p.88.

9 Ibidem, cit. p. 87.: «[concepire] il rapporto tra la Grecia e la filosofia come un’origine e quindi come il punto di partenza di una storia interna all’Occidente, [implica] che la filosofia si confonda necessariamente con la propria storia».

10 Ibidem,cfr. p. 88.

11 Ibidem, cit., p. 86., corsivo mio.

12 È in questo senso che interpretiamo il principio di ragion contingente della geofilosofia enunciato da Deleuze e Guattari: «non c’è una buona ragione se non quella contingente, non c’è storia universale se non quella della contingenza»; Ibidem, cit. p. 86.

13 Ibidem, cit., p. 89.

14 Intitolato “Geofilosofia”.

15 Ibidem, cit., p.88

16 Ibidem, corsivo mio.

17 Cfr. Gilles Deleuze, L’isola deserta e altri scritti, p. 5

18 Che cos’è la filosofia?, cit., p. 77.

19 Cfr. E. Husserl, Rovesciamento della dottrina copernicana nell’interpretazione della corrente visione del mondo

20 Che cos’è la filosofia?, cit., p. 77.

21 Ibidem, cit. p. 81

22 Deleuze e Guattari riconoscono come Heidegger, con i suoi temi del costruire e dell’abitare, si sia avvicinato all’idea di prossimità terra-pensiero che loro esprimono con territorializzazione e deterritorializazione. Tuttavia rimproverano al filosofo tedesco il fatto di non averne saputo cogliere tutta la potenza e la fecondità.

23 Ibidem, cit, p. 88.

24 Ibidem

25 Ibidem